E così si arrivò al Decreto Sicurezza
E così si arrivò al Decreto Sicurezza

E così si arrivò al Decreto Sicurezza

Sono molte le voci che si sono alzate contro il cosiddetto Decreto Immigrazione e Sicurezza.

In due occasioni (il 7/11 e il 27/11) è stata posta la fiducia e il Decreto è passato senza che siano stati accettare emendamenti.

Il decreto, che già dal nome mischia (volutamente) migrazioni e sicurezza, per quanto attiene al fenomeno migratorio, si può riassumere essenzialmente in questi punti:

  • Abolizione della protezione umanitaria. La protezione internazionale prevede tre diverse forme: Lo statu di rifugiato, la protezione sussidiaria e quella umanitaria. Con il decreto viene cancellato il permesso di soggiorno per motivi umanitari che aveva durata massima di due anni. Tra le motivazioni leggiamo nella relazione illustrativa “I principali profili di criticità dell’attuale sistema sono individuabili nell’anomala sproporzione verificatasi tra il numero di riconoscimenti delle forme di protezione internazionale espressamente disciplinate a livello europeo e nel nostro ordinamento (nell’ultimo quinquennio, status di rifugiato: 7 per cento; protezione sussidiaria: 15 percento), e il numero dei rilasci del permesso di soggiorno per motivi umanitari (25 per cento, aumentato fino al 28 per cento per l’anno in corso).” Sembra quindi che la norma voglia, più che entrare nel merito, agire dove ci sono maggiori numeri. Al suo posto vengono introdotti i permessi per “protezione speciale” (un anno), per “calamità naturale nel Paese d’origine” (sei mesi), per “condizione di salute gravi” (un anno) “per atti di particolare valore civile” e “per casi speciali” (vittime di violenza grave o sfruttamento lavorativo).
  • Smantellamento SPRAR. Aumento dei tempi nei CPR. Rimpatri. L’articolo 12 ridisegna lo Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (gestito con i Comuni): vi avranno accesso solo i titolari di protezione internazionale e i minori stranieri non accompagnati. Tutte le persone in attesa di una decisione della commissione dovranno essere invece accolte nei CAS (Centri di accoglienza straordinari), dove non saranno possibili i percorsi di integrazione (linguistici, orientamento, etc…)Inoltre la durata massima del trattenimento degli stranieri nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (ex Cie, Centri di Identificazione ed espulsione) viene allungata (articolo 2) dagli attuali 90 a 180 giorni, oltre agli iniziali 30 nei CAS, periodo ritenuto necessario all’accertamento dell’identità e della nazionalità del migrante. Potrà quindi succedere che il migrante sia trattenuto per 210 giorni solo per le verifiche dell’identità, senza aver commesso alcun reato. L’articolo 6 assegna al Fondo rimpatri del Viminale le somme stanziate con la legge di bilancio per programmi di rimpatrio volontario assistito: 500 mila euro per il 2018, un milione e mezzo per il 2019, un milione e e mezzo per il 2020. E’ evidente che con tali cifre non si potrebbero rimpatriare più di qualche migliaio di persone, senza contare la mancanza di trattati bilaterali al proposito. In definitiva la stretta porterà ad un aumento di clandestini “invisibili” (stime dell’ISPI parlano di 140 mila clandestini per il 2020).
  • Revoche della protezione internazionale. Il diniego dell’asilo scatta nel caso di condanna definitiva (articolo 7) anche per i reati di violenza sessuale, spaccio di droga, rapina ed estorsione. Tra i reati di “particolare allarme sociale” sono inclusi la mutilazione dei genitali femminili, la resistenza a pubblico ufficiale, le lesioni personali gravi, le lesioni gravi a pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico, il furto aggravato dal porto di armi o narcotici. Il decreto (articolo 8) dispone la revoca della protezione umanitaria ai profughi che rientrano senza “gravi e comprovati motivi” nel paese di origine, una volta presentata richiesta di asilo.
  • Il DL n. 113/2018 ha apportato una modifica al Decreto Orlando-Minniti, disponendo che il permesso di soggiorno per richiesta asilo «non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica. La norma ha suscitato immediate critiche di sospetta illegittimità costituzionale poiché esclude dal diritto fondamentale alla residenza anagrafica una specifica categoria di persone. Di per sé questo non dovrebbe andare a pregiudicare i servizi essenziali, tuttavia, è prevedibile che la mancata iscrizione anagrafica comporterà il rifiuto da parte della pubblica amministrazione (e dunque di enti come scuole o asili nido, Asl, Centri per l’impiego) e di soggetti privati (come le banche per l’apertura di un conto corrente) di erogare servizi. Per questo si è levata la protesta di molti sindaci preoccupati di dover far fronte ad una ondata di emergenza sociale.
  • Esame domande più celeri e lista dei ‘Paesi sicuri’. È prevista l’adozione, con decreto del ministero dell’Interno, di una lista dei Paesi di origine sicuri, al fine di accelerare la procedura di esame delle domande di protezione internazionale delle persone che provengono da uno di questi Paesi. La lista servirà, tra l’altro, per una sorta di invertimento di onere della prova: dovrà essere il richiedente proveniente da un Paese sicuro a dover dimostrare che il ritorno in patria rappresenti per lui una situazione di pericolo. In caso contrario, la domanda d’asilo sarebbe rigettata. Inoltre, per accelerare l’esame delle domande di protezione internazionale, il questore dà comunicazione alla Commissione competente nel caso in cui il richiedente sia indagato o sia stato condannato, anche con sentenza non definitiva, per uno dei reati riconosciuti di particolare gravità. L’eventuale ricorso non sospende l’efficacia del diniego. La revoca della cittadinanza italiana (articolo 14) scatta anche per i colpevoli di reati con finalità di terrorismo o eversione dell’ordinamento costituzionale. Tempi raddoppiati (4 anni) per la concessione della cittadinanza per matrimonio e per residenza.

Oltre a queste vengono introdotte altre novità in tema di sicurezza, tra cui anche il reato di blocco stradale e occupazione edifici: “l’invasione di terreni o edifici” viene punita con la reclusione fino a 2 anni, raddoppiati a 4 se commessa da cinque o più persone.

Si tratta evidentemente di una “stretta”, ma non si può parlare di un vero cambio di direzione:

infatti il percorso che ha portato a questo decreto voluto dal ministro Salvini viene da lontano.

Ma da dove si parte? Partiamo dalla Costituzione Italiana, che all’articolo 10, comma 3, afferma:

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.

Dati i diversi orientamenti all’interno dell’Assemblea Costituente, l’inserimento di questa disposizione che disciplina il diritto d’asilo fu oggetto di vivaci discussioni. La scelta di porre all’interno della “carta fondamentale” il diritto all’asilo fu una scelta consapevole: ad esempio furono presi in considerazione anche gli eventuali problemi posti in caso di esodi di massa. Ma data l’esperienza pregressa (diversi deputati dell’Assemblea costituente avevano potuto godere del del diritto d’asilo in altri paesi durante il regime fascista avevano goduto) fece prevalere la posizione più garantista e liberale.

Sul piano internazionale infatti già da anni operava l’UNRRA (United Nations Rehabilitation Relief Agency) per il rimpatrio dei prigionieri di guerra e di determinate categorie di rifugiati.

Dopo l’istituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’Assemblea generale diede vita, il 3 dicembre 1949, all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), dove conferirono anche le competenze dell’UNRRA.

E il riferimento che si legge nella Costituzione è alla figura del rifugiato, una figura meglio definita dalla Convenzione di Ginevra a cui l’Italia ha aderito nel 1954:

Chiunque nel giustificato timore d’essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.”

Ci sono però due limiti al pieno recepimento della Convenzione nel nostro ordinamento: il primo dovuto a un vuoto procedurale e il secondo di ordine spaziale. Se cioè da un lato le norme spiegavano chi aveva il diritto ad una protezione, ma non fornivano informazioni relativamente a come garantire tale diritto, dall’altro, in base alla riserva geografica formulata all’atto della ratifica della Convenzione, lo status di rifugiato venne infatti, di regola, riconosciuto nel nostro paese soltanto agli individui provenienti da paesi europei.

La clausola spaziale venne tolta nel 1989. Perché tale data? Evidentemente si pensava ai rifugiati provenienti provenienti dall’Est Europeo, e il blocco comunista vede crollare il muro in questo anno. Ma non è l’unica spiegazione. Infatti nell’agosto del 1989, in Campania, venne ucciso Jerry Masslo: un giovane sconosciuto i cui funerali mobilitarono 200 mila persone con la presenza delle più alte cariche dello Stato. Jerry Maslo era stato (con Mandela) un attivista dell’African National Congress ed era scappato dal SudAfrica alcuni anni prima. Dato che la sua richiesta di asilo in Italia venne respinta per via della clausola spaziale, non essendoci forme di accompagnamento coatto alla frontiera, il migrante restò comunque clandestinamente in Italia e, come molti, si mise a lavorare in nero nei campi del Sud Italia. Anche in quegli anni c’erano manifestazioni di insofferenza razziale (gli ingressi di stranieri in Italia erano circa 50 mila l’anno) e i clandestini venivano presi di mira da bande di picchiatori. Masslo morì nel tentativo di opporre resistenza durante una rapina messa in atto da una di queste bande.

L’enorme clamore mediatico e il sentimento di indignazione costrinsero il governo in carica (Andreotti VI) ad adottare subito il decreto-legge n. 146/1989, poi convertito in legge. Si trattava della Legge n. 39/1990, nota come Legge Martelli (dal nome del suo promotore, l’allora Vicepresidente del Consiglio dei Ministri). Tale legge, che costituiva la prima norma nazionale in cui veniva affrontato il tema del diritto d’asilo, era tesa a regolare in modo organico l’immigrazione oltre che ridefinire lo status di rifugiato. Veniva introdotto il concetto di regolamentazione dei flussi dall’estero, le modalità di ingresso e respingimento alla frontiera, un sistema di accoglienza per i richiedenti asilo e, in mancanza di mezzi di sussistenza, un contributo economico di prima assistenza.

Le carenze procedurali furono evidenziate l’anno dopo con la cosiddetta “invasione albanese”, quando l’Italia venne travolta dal primo caso dei boat people: il mercantile Vlora, detto anche “Nave dolce” per via del carico di zucchero che trasportava da Cuba a Durazzo, e che riempita all’inverosimile da una folla di migranti salpò dal porto albanese e fece sbarcare nella città di Bari l’8 agosto del 1991 circa 20.000 albanesi.

L’Italia, non attrezzata per gestire l’arrivo, sistemò quelle persone presso lo stadio e al porto. I cittadini baresi diedero prova di grande solidarietà, fornendo cibo e altri generi di prima necessità ai profughi, anche dandosi disponibili ad ospitarli nelle proprie abitazioni.

In quel periodo arrivarono 48.000 persone via mare dall’Albania e da lì a breve giunsero anche i primi arrivi di profughi somali, scampati dalla terribile guerra civile che provocò oltre mezzo milione di morti. Negli anni a seguire si aggiunsero i profughi che scappavano dalla “balcanizzazione” della ex-Jugoslavia.

L’emergenza venne fronteggiata con provvedimenti temporanei: ad esempio dando la possibilità ai cittadini della ex-Jugoslavia di beneficiare di permessi annuali per studio e per lavoro (un modo per dribblare le lungaggini burocratiche a questi profughi che, se avessero fatto la richiesta di asilo o di protezione umanitaria – che avrebbero certamente ottenuto vista la guerra dall’altra sponda dell’Adriatico- si sarebbero imbarcati in di un’inutile attesa pluriennale).

Nel marzo 1998, per superare l’approccio emergenziale, arriva la legge 40/1998, conosciuta come legge Turco-Napolitano, che venne incorporata nel “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” del luglio dello stesso anno.

Il Testo Unico metteva in luce l’importanza della tutela del rifugiato attraverso alcune norme innovative quali:

  • Articolo 2: è vietato, per le autorità italiane, informare i funzionari di ambasciata del Paese di provenienza del richiedente asilo in modo da evitare ritorsioni in patria
  • Articolo 19: non si possono espellere o respingere stranieri che, nel loro Paese, potrebbero essere sottoposti a persecuzione
  • Articolo 29: è riconosciuto il diritto all’unità familiare del rifugiato

L’impostazione si basa sull’intento di regolamentare l’immigrazione, favorendo l’immigrazione regolare. L’immigrato regolare con le nuove disposizioni poteva arrivare ad ottenere la cittadinanza tramite una serie di tappe che contemplavano il ricongiungimento familiare, l’accesso ai servizi sanitari e all’istruzione. Ma per gli irregolari si profilava l’espulsione: all’articolo 12 vengono infatti istituiti i Centri di Permanenza Temporanea per tutti gli stranieri “sottoposti a provvedimenti di espulsione e respingimento non immediatamente eseguibili”.

Nel 2002 arrivò, proprio a partire da questo impianto, la legge Bossi-Fini. La Legge 30 Luglio 2002

apportava delle modifiche al Testo Unico riguardo al sistema degli ingressi: poneva l’obbligo di presentare all’arrivo una documentazione in grado di certificare il possesso di un contratto di lavoro ancora prima di aver toccato il suolo italiano. Ed è tale legge a introdurre l’espressione“clandestino”, riferendosi con questo termine allo straniero privo di documenti di identità e permesso di soggiorno. Ancora oggi per ottenere una “Carta di soggiorno”, necessaria per restare in Italia a tempo indeterminato, è necessario lavorare senza interruzione del rapporto per cinque anni, in quanto la perdita del lavoro comporta l’espulsione.

Più recentemente nel 2017 il Decreto “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell’immigrazione illegale” poi trasformato in legge (la cosiddetta legge Minniti-Orlando), in cui si possono riconoscere le seguenti principali novità:

  • L’abolizione del secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo che hanno fatto ricorso contro un diniego.
  • L’abolizione dell’udienza (il magistrato prenderà visione della videoregistrazione del colloquio del richiedente asilo presso la Commissione territoriale.)
  • L’estensione della rete dei centri di detenzione per i migranti irregolari (da 4 a 20)
  • L’introduzione del lavoro volontario per i migranti

E infine, a chiusura del 2018, la Legge 1 dicembre 2018, n. 132 recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113”, ossia il recepimento del cosiddetto decreto Salvini. Se si guarda con un po’ di attenzione si vede non si sia trattato di una “svolta”, quanto piuttosto un’accelerazione su un percorso già intrapreso negli anni scorsi. In particolare la legge Minniti-Orlando aveva già preparato la strada alle norme più repressive contenute nella recente proposta del Ministero degli Interni e non a caso era già stata tacciata di incostituzionalità da parte di giuristi e associazioni.

scarica l’articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Indirizzo email
Nome
Cognome

Ho letto l’informativa sul trattamento dei dati ai sensi della vigente normativa
e del Reg (UE) 679/2016 su ipsia-acli.tn.it/privacy e acconsento al trattamento
dei miei dati personali per le finalità relative alla ricezione di materiale informativo
e di raccolta fondi.

Top