Sono molte le voci che si sono alzate contro il cosiddetto Decreto Immigrazione e Sicurezza.
In due occasioni (il 7/11 e il 27/11) è stata posta la fiducia e il Decreto è passato senza che siano stati accettare emendamenti.
Il decreto, che già dal nome mischia (volutamente) migrazioni e sicurezza, per quanto attiene al fenomeno migratorio, si può riassumere essenzialmente in questi punti:
Oltre a queste vengono introdotte altre novità in tema di sicurezza, tra cui anche il reato di blocco stradale e occupazione edifici: “l’invasione di terreni o edifici” viene punita con la reclusione fino a 2 anni, raddoppiati a 4 se commessa da cinque o più persone.
Si tratta evidentemente di una “stretta”, ma non si può parlare di un vero cambio di direzione:
infatti il percorso che ha portato a questo decreto voluto dal ministro Salvini viene da lontano.
Ma da dove si parte? Partiamo dalla Costituzione Italiana, che all’articolo 10, comma 3, afferma:
“Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
Dati i diversi orientamenti all’interno dell’Assemblea Costituente, l’inserimento di questa disposizione che disciplina il diritto d’asilo fu oggetto di vivaci discussioni. La scelta di porre all’interno della “carta fondamentale” il diritto all’asilo fu una scelta consapevole: ad esempio furono presi in considerazione anche gli eventuali problemi posti in caso di esodi di massa. Ma data l’esperienza pregressa (diversi deputati dell’Assemblea costituente avevano potuto godere del del diritto d’asilo in altri paesi durante il regime fascista avevano goduto) fece prevalere la posizione più garantista e liberale.
Sul piano internazionale infatti già da anni operava l’UNRRA (United Nations Rehabilitation Relief Agency) per il rimpatrio dei prigionieri di guerra e di determinate categorie di rifugiati.
Dopo l’istituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’Assemblea generale diede vita, il 3 dicembre 1949, all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), dove conferirono anche le competenze dell’UNRRA.
E il riferimento che si legge nella Costituzione è alla figura del rifugiato, una figura meglio definita dalla Convenzione di Ginevra a cui l’Italia ha aderito nel 1954:
“Chiunque nel giustificato timore d’essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.”
Ci sono però due limiti al pieno recepimento della Convenzione nel nostro ordinamento: il primo dovuto a un vuoto procedurale e il secondo di ordine spaziale. Se cioè da un lato le norme spiegavano chi aveva il diritto ad una protezione, ma non fornivano informazioni relativamente a come garantire tale diritto, dall’altro, in base alla riserva geografica formulata all’atto della ratifica della Convenzione, lo status di rifugiato venne infatti, di regola, riconosciuto nel nostro paese soltanto agli individui provenienti da paesi europei.
La clausola spaziale venne tolta nel 1989. Perché tale data? Evidentemente si pensava ai rifugiati provenienti provenienti dall’Est Europeo, e il blocco comunista vede crollare il muro in questo anno. Ma non è l’unica spiegazione. Infatti nell’agosto del 1989, in Campania, venne ucciso Jerry Masslo: un giovane sconosciuto i cui funerali mobilitarono 200 mila persone con la presenza delle più alte cariche dello Stato. Jerry Maslo era stato (con Mandela) un attivista dell’African National Congress ed era scappato dal SudAfrica alcuni anni prima. Dato che la sua richiesta di asilo in Italia venne respinta per via della clausola spaziale, non essendoci forme di accompagnamento coatto alla frontiera, il migrante restò comunque clandestinamente in Italia e, come molti, si mise a lavorare in nero nei campi del Sud Italia. Anche in quegli anni c’erano manifestazioni di insofferenza razziale (gli ingressi di stranieri in Italia erano circa 50 mila l’anno) e i clandestini venivano presi di mira da bande di picchiatori. Masslo morì nel tentativo di opporre resistenza durante una rapina messa in atto da una di queste bande.
L’enorme clamore mediatico e il sentimento di indignazione costrinsero il governo in carica (Andreotti VI) ad adottare subito il decreto-legge n. 146/1989, poi convertito in legge. Si trattava della Legge n. 39/1990, nota come Legge Martelli (dal nome del suo promotore, l’allora Vicepresidente del Consiglio dei Ministri). Tale legge, che costituiva la prima norma nazionale in cui veniva affrontato il tema del diritto d’asilo, era tesa a regolare in modo organico l’immigrazione oltre che ridefinire lo status di rifugiato. Veniva introdotto il concetto di regolamentazione dei flussi dall’estero, le modalità di ingresso e respingimento alla frontiera, un sistema di accoglienza per i richiedenti asilo e, in mancanza di mezzi di sussistenza, un contributo economico di prima assistenza.
Le carenze procedurali furono evidenziate l’anno dopo con la cosiddetta “invasione albanese”, quando l’Italia venne travolta dal primo caso dei boat people: il mercantile Vlora, detto anche “Nave dolce” per via del carico di zucchero che trasportava da Cuba a Durazzo, e che riempita all’inverosimile da una folla di migranti salpò dal porto albanese e fece sbarcare nella città di Bari l’8 agosto del 1991 circa 20.000 albanesi.
L’Italia, non attrezzata per gestire l’arrivo, sistemò quelle persone presso lo stadio e al porto. I cittadini baresi diedero prova di grande solidarietà, fornendo cibo e altri generi di prima necessità ai profughi, anche dandosi disponibili ad ospitarli nelle proprie abitazioni.
In quel periodo arrivarono 48.000 persone via mare dall’Albania e da lì a breve giunsero anche i primi arrivi di profughi somali, scampati dalla terribile guerra civile che provocò oltre mezzo milione di morti. Negli anni a seguire si aggiunsero i profughi che scappavano dalla “balcanizzazione” della ex-Jugoslavia.
L’emergenza venne fronteggiata con provvedimenti temporanei: ad esempio dando la possibilità ai cittadini della ex-Jugoslavia di beneficiare di permessi annuali per studio e per lavoro (un modo per dribblare le lungaggini burocratiche a questi profughi che, se avessero fatto la richiesta di asilo o di protezione umanitaria – che avrebbero certamente ottenuto vista la guerra dall’altra sponda dell’Adriatico- si sarebbero imbarcati in di un’inutile attesa pluriennale).
Nel marzo 1998, per superare l’approccio emergenziale, arriva la legge 40/1998, conosciuta come legge Turco-Napolitano, che venne incorporata nel “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” del luglio dello stesso anno.
Il Testo Unico metteva in luce l’importanza della tutela del rifugiato attraverso alcune norme innovative quali:
L’impostazione si basa sull’intento di regolamentare l’immigrazione, favorendo l’immigrazione regolare. L’immigrato regolare con le nuove disposizioni poteva arrivare ad ottenere la cittadinanza tramite una serie di tappe che contemplavano il ricongiungimento familiare, l’accesso ai servizi sanitari e all’istruzione. Ma per gli irregolari si profilava l’espulsione: all’articolo 12 vengono infatti istituiti i Centri di Permanenza Temporanea per tutti gli stranieri “sottoposti a provvedimenti di espulsione e respingimento non immediatamente eseguibili”.
Nel 2002 arrivò, proprio a partire da questo impianto, la legge Bossi-Fini. La Legge 30 Luglio 2002
apportava delle modifiche al Testo Unico riguardo al sistema degli ingressi: poneva l’obbligo di presentare all’arrivo una documentazione in grado di certificare il possesso di un contratto di lavoro ancora prima di aver toccato il suolo italiano. Ed è tale legge a introdurre l’espressione“clandestino”, riferendosi con questo termine allo straniero privo di documenti di identità e permesso di soggiorno. Ancora oggi per ottenere una “Carta di soggiorno”, necessaria per restare in Italia a tempo indeterminato, è necessario lavorare senza interruzione del rapporto per cinque anni, in quanto la perdita del lavoro comporta l’espulsione.
Più recentemente nel 2017 il Decreto “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell’immigrazione illegale” poi trasformato in legge (la cosiddetta legge Minniti-Orlando), in cui si possono riconoscere le seguenti principali novità:
E infine, a chiusura del 2018, la Legge 1 dicembre 2018, n. 132 recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113”, ossia il recepimento del cosiddetto decreto Salvini. Se si guarda con un po’ di attenzione si vede non si sia trattato di una “svolta”, quanto piuttosto un’accelerazione su un percorso già intrapreso negli anni scorsi. In particolare la legge Minniti-Orlando aveva già preparato la strada alle norme più repressive contenute nella recente proposta del Ministero degli Interni e non a caso era già stata tacciata di incostituzionalità da parte di giuristi e associazioni.
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